lunedì 1 dicembre 2025

Elezioni comunali, voto disgiunto e simboli: intervista a Salvatore Curreri

In questo periodo, in cui formalmente mancano meno di due anni alla fine della legislatura e - a voler prendere sul serio il Codice di buona condotta in materia elettorale della Commissione di Venezia - resterebbe meno di un anno per poter mettere mano alle regole per eleggere il Parlamento in modo che gli elettori e tutte le forze politiche possano valutarne i possibili effetti, si riparla inevitabilmente di possibili modifiche alla legge elettorale politica: lo fa soprattutto chi - anche tentando di proiettare su scala nazionale i dati usciti dalle elezioni regionali "spacchettate" del 2025 - teme un risultato di potenziale pareggio nel 2027 e propone di modificare le regole del gioco (ovviamentetenendo conto della situazione della propria forza politica di riferimento, per cercare di massimizzare i risultati o ridurre i disagi). Questo, al di là di ogni giudizio personale sulle varie soluzioni proposte, non può che essere accolto con favore da chiunque appartenga alla categoria dei #drogatidipolitica, per i quali - com'è noto - un dibattito o anche una semplice discussione sulla elettorale può iniziare a qualsiasi ora, senza alcuna certezza su quando possa terminare.
Gli stessi #drogatidipolitica, però, non possono distogliere lo sguardo dalle altre leggi elettorali, a partire da quella per eleggere il sindaco e i consigli comunali, che già nei mesi scorsi è stata oggetto di polemiche e confronti accesi, anche quando in effetti fino a poco prima si stava discutendo di altro. Ci si riferisce, in particolare, al disegno di legge "Modifiche agli articoli 72 e 73 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, in materia di elezione del sindaco al primo turno nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti" (atto Senato n. 1451), firmato dai quattro capigruppo di maggioranza, cioè Lucio Malan (Fratelli d'Italia), Massimiliano Romeo (Lega), Maurizio Gasparri (Forza Italia) e Michaela Biancofiore (Civici d'Italia-Udc-Noi Moderati-Maie-Centro Popolare): si tratta del progetto di legge presentato - come chi legge questo sito ricorderà - l'8 aprile scorso, dopo la decisione della maggioranza di ritirare l'emendamento al "decreto elezioni 2025" con cui si era tentato - per la terza volta, dopo il ritiro in occasione della conversione del "decreto elezioni 2024" e della discussione in Senato del "ddl Augussori-Pirovano" relativo alle elezioni nei piccoli comuni - di introdurre l'elezione del sindaco nei comuni superiori con il 40% dei voti già al primo turno. Quel disegno di legge è ancora in discussione in Commissione - se n'è trattato in sede referente per l'ultima volta alla fine di ottobre - ed è nota la volontà della maggioranza di ottenere l'approvazione finale entro la legislatura.
 
 
Il 29 ottobre il quotidiano Avvenire ha ospitato a pagina 16 una lettera/intervento di Salvatore Curreri, professore ordinario di diritto costituzionale e pubblio all'Università degli Studi di Enna "Kore", presso la quale coordina il corso di laurea in Giurisprudenza. In quella lettera, Curreri fa riferimento al citato disegno di legge n. 1451 del centrodestra. per il quale è stato informalmente ascoltato il 29 maggio scorso dalla commissione Affari costituzionali del Senato (nella seconda giornata del ciclo di audizioni di costituzionalisti disposto dalla Commissione: il testo dell'audizione si può leggere qui). Nel suo intervento pubblicato dal quotidiano, peraltro, il costituzionalista si concentra su un punto preciso, ovvero la disposizione relativa al "voto disgiunto": in origine non trattata dal disegno di legge presentato dal centrodestra, dal 30 luglio ne fa parte dopo l'approvazione di due emendamenti identici (dopo la riformulazione richiesta dal governo attraverso la sottosegretaria Wanda Ferro), uno proposto dal presidente della Commissione, Baldoni, e uno proposto dalla Lega con l'aggiunta di altre firme (proprio quest'emendamento aveva proposto il superamento del "voto disgiunto"). Il testo approvato rende nulla una scheda nella quale si voti per un candidato sindaco e contestualmente per una lista a questi non collegata; si prevede pure che, in presenza di un unico segno a favore di un aspirante sindaco, il voto si trasmetta automaticamente anche all'unica lista collegata o alle liste coalizzate (in quest'ultimo caso, in proporzione ai voti raccolti da ciascuna lista).
Vale la pena sottolineare che, se nel dibattito in Commissione del 30 luglio la Lega - attraverso il senatore Paolo Tosato - si era espressa a favore dell'abolizione del "voto disgiunto" (per evitare di creare "gravi problemi nell'amministrazione dei comuni, a seguito della disomogeneità di orientamento politico tra il sindaco e la maggioranza consiliare" e, a monte, di disorientare gli elettori circa il voto esprimibile, col rischio di produrre varie schede nulle), una netta contrarietà è stata espressa dal MoVimento 5 Stelle (tramite il senatore Roberto Cataldi) e dal Partito democratico (attraverso il senatore Dario Parrini), che hanno visto in quella scelta una compressione degli spazi di libertà per gli elettori, anche per il venir meno della possibilità di votare solo per il candidato sindaco (cosa che non ha convinto nemmeno Dafne Musolino di Italia viva, favorevole invece al "voto congiunto"); ulteriori emendamenti presentati dalle opposizioni in senso contrario sono stati comunque respinti. Durante le audizioni (in sede di replica), in controtendenza rispetto ad altri costituzionalisti auditi, Curreri ha espresso un giudizio molto negativo sulla possibilità che il "voto disgiunto" fosse conservato e nel suo intervento su Avvenire ha accolto con favore l'approvazione dell'emendamento che prevede la nullità della scheda in caso di voto per un aspirante sindaco e per una lista che non lo sostiene (conservando, peraltro, un giudizio non favorevole all'elezione al primo turno con il 40%). 
Dal momento che il "voto disgiunto" è tra i fenomeni su cui i #drogatidipolitica si concentrano di più prima e dopo i vari appuntamenti elettorali, ma finora si è parlato poco di questa modifica potenzialmente in arrivo per le elezioni amministrative nei comuni "superiori", I simboli della discordia ha ritenuto opportuno approfondire il tema proprio con il professor Curreri, che ha accettato di fare una chiacchierata sul punto (e, più in generale, sulla modifica alle norme che regolano le elezioni amministrative).
 
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Salvatore, nella tua lettera ad Avvenire hai esposto tre ragioni per il tuo favore verso il superamento della possibilità di "voto disgiunto" alle elezioni amministrative nei comuni sopra i 15000 abitanti. Come primo argomento hai segnalato come il voto disgiunto non sia "una scelta costituzionalmente obbligata": si può però dire che si tratta di una soluzione costituzionalmente legittima?
Siamo in una materia in cui, secondo me, tanto l'opzione che non consente il voto disgiunto quanto quella che lo permette sono visti come conformi a Costituzione. In tutta franchezza, ti dico che la questione appare almeno in parte controversa: l'argomento forte che si invoca contro il divieto di "voto disgiunto" è la libertà di voto, che verrebbe coartata perché l'elettore in quel modo non potrebbe fare scelte "di campo" diverse per la carica monocratica, che in questo caso è il sindaco (ma lo stesso discorso vale per il presidente della regione, visto che ci sono Regioni che hanno mantenuto il voto "disgiunto" e altre che lo hanno escluso) e per l'organo assembleare, cioè il consiglio. Questo argomento, però, sinceramente mi sembra eccessivo: il problema è capire se il "voto disgiunto" è conforme alla ratio che ispira il voto per il rinnovo dell'amministrazione comunale. Per me è facile individuare questo fine nella necessità che la persona eletta come vertice della giunta abbia una maggioranza in consiglio: se così è, il "voto disgiunto" non mi pare conforme alla ratio di questo tipo di elezione.
In questo senso parlavi del "voto disgiunto" come "espressione di schizofrenia politica"?
Quella in realtà per me è una considerazione più generale, che è il secondo argomento a favore del superamento del "voto disgiunto". Per me votare un candidato di una parte politica e votare diversamente per la lista ha qualcosa di "schizofrenico": non  voglio essere in alcun modo offensivo verso chi sceglie di agire così, ma per me si tratta di scelte politiche sostanzialmente diverse tra loro e inconciliabili. Dire che se si sceglie il sindaco (o il presidente della giunta regionale) si sta votando per la persona e non è contraddittorio rispetto a una scelta di lista di altro tipo non mi convince particolarmente, soprattutto per una valutazione di altro genere, che è poi il terzo argomento che mi porta a preferire l'esclusione del "voto disgiunto".
Di che si tratta?
Se si dice "Io voto per la persona" e non si vota per l'idea, per il partito, per il soggetto politico, significa che alla fine la decisione è ispirata a ragioni personali, non politiche: questo per me è un ulteriore motivo di criticità, perché evidentemente, soprattutto a livello locale, le persone si sentono - e in un certo senso sono - legittimate sulla base di un consenso personale, potendo scegliere di orientare i propri voti e le proprie decisioni in base a valutazioni altrettanto, se non esclusivamente personali. Ritengo che questo sia uno dei motivi per cui la dialettica politica, a livello locale come a livello regionale, è notevolmente degraata: le persone decidono indipendentemente dai contenitori politici nei quali si candidano e questo si connette anche al fenomeno di "desertificazione" dei partiti politici a livello locale. Come vedi ho esposto tre argomenti distinti, che però appaiono collegati tra loro.
A proposito di collegamenti, ho rivisto la relazione alla futura legge n. 81/1993, redatta alla Camera da Adriano Ciaffi (Dc) e presentata il 20 novembre 1992: allora, tra l'altro, si prevedeva ancora - come "soluzione faticosa" di compromesso tra tesi "estreme e contrapposte" - che il collegamento tra aspiranti sindaci e liste fosse facoltativo, "potendosi prevedere una candidatura a sindaco priva di lista collegata". Bene, per la relazione "spetta all'elettore giudicare e scegliere, anche bocciando i 'collegamenti' proposti", disgiungendo il voto doppio, esercitato però su un'unica scheda, per evitare il moltiplicarsi di queste. Il "voto disgiunto", dunque, era stato esplicitamente visto, per le elezioni nei comuni "superiori", come ulteriore possibilità di articolazione del voto, con un giudizio che in qualche modo avrebbe coinvolto anche le singole persone candidate. Quest'impostazione non ti convince dall'inizio o ha finito per non convincerti per le sue applicazioni pratiche?
Non mi convince dall'inizio. Per formazione scientifica sono sempre stato convinto del ruolo fondamentale dei partiti politici, come perno, sintesi politica e canale di mediazione tra elettori ed eletti: secondo me il "voto disgiunto" è un modo per incrinare questo rapporto, perché con la dissociazione del voto è evidente che non vale più l'elemento politico-partitico, ma quello personale. Io, insomma, ti voto non perché sei espressione di un partito o di un movimento o ti candidi in una lista o sostenuto da quella lista, ma perché sei tu: questo si traduce, in pratica, in una delega "in bianco". Quando dicevo che, sostanzialmente, il "voto disgiunto" può essere una delle cause di quel fenomeno che a livello nazionale definiamo come "transfughismo", cioè l'abbandono di un partito o di un gruppo da parte di un eletto per aderire ad altri soggetti...
... fenomeno di cui tu ti sei particolarmente occupato in varie pubblicazioni e anche sul sito laCostituzione.info (con la tua Banca dati sulla mobilità parlamentare)...
... già! [sorride] ... stavo dicendo che il "voto disgiunto" tutto sommato legittima i passaggi degli eletti, anche dei consiglieri comunali o regionali, che possono dire: "Signori miei, ho ottenuto voti e sono stato eletto perché ho ricevuto preferenze individuali, dirette a me, non grazie alla mia candidatura in quel partito o in quella lista, quindi la mia legittimazione è personale e decido io come 'spenderla'".
Eppure per i consiglieri non vale mai il "voto disgiunto": anche nei comuni "superiori" o nelle Regioni che lo prevedono ancora, nessuno può votare una lista e un consigliere candidato sotto un altro simbolo...
Questo è vero, ma è chiaro che in questa maniera abbiamo una differenza tra i voti ricevuti dalla persona eletta come sindaco o presidente e quelli raccolti dalle liste che l'hanno sostenuta: i consensi per queste ultime possono essere superiori o inferiori a quelli del candidato appoggiato e questo per me ha un peso inevitabile nei rapporti tra carica monocratica e consiglio. A mio parere, se si volesse perseguire in maniera coerente il principio ritenuto alla base del "voto disgiunto", cioè la libertà di voto, all'elettore si dovrebbero dare due schede, una per votare il sindaco o il presidente, l'altra per il voto di lista.
Perdonami, solo per chiarezza: secondo te si dovrebbero distribuire due schede diverse o basterebbe individuare due sezioni ben distinte - più di quanto non avvenga oggi - sulla stessa scheda, con i candidati alla carica monocratica tutti da una parte e le liste tutte dall'altra? Nel diritto elettorale, soprattutto per i #drogatidipolitica, anche il disegno delle schede conta, e parecchio...
No, no, assolutamente si dovrebbero distribuire due schede distinte, che per me sarebbe un modo per rimarcare che si è di fronte a due organi che hanno legittimazioni diverse e rispondono a logiche istituzionali diverse. Già il fatto di unire il voto per il sindaco/presidente e per le liste concorrenti per il consiglio nella stessa scheda, non voglio dire che coarti la volontà di chi vota, ma secondo me fa intendere che le due elezioni vanno e devono andare "a braccetto", essere in "sintonia". Anche per questo ritengo che permettere il "voto disgiunto", con una scheda così composta, sia in contraddizione con la ratio della legge elettorale comunale o regionale, evidentemente identificabile con la volontà di evitare le cosiddette "anatre zoppe", quelle situazioni cioè in cui un sindaco o un presidente eletto non ha all'interno dell'assemblea una maggioranza a proprio favore. Si può contestare quest'impostazione, la si può rivedere, ma per me è incontestabile che il "voto disgiunto" sia contrario al fine che ho appena indicato, perché è proprio permettendo di dare il voto a un aspirante sindaco/presidente e a una lista che non lo sostiene che si pongono le basi per creare una maggioranza consiliare non armonica. 
Già, magari non facendo scattare il prenio di maggioranza per la lista/coalizione legata al vincitore al primo/unico turno se il "voto disgiunto" è stato consistente e la metà più uno dei voti è stata invece ottenuta da una lista o una coalizione non collegata al vincitore. Nella tua impostazione ideale, però, sarebbe comunque possibile votare solo per il sindaco/presidente, senza esprimere consensi per alcuna lista, o il voto dato all'aspirante alla carica monocratica si trasferirebbe automaticamente anche alla lista o - in modo proporzionale ai voti diretti - alle liste della coalizione?
No, secondo me l'elettore dovrebbe assolutamente poter decidere di votare solo per un candidato sindaco/presidente: qui forse potremmo davvero parlare di coercizione se si costringesse a votare anche per forza per una lista. Nella logica che ho esposto prima, sarebbe come se l'elettore prendesse e votasse soltanto la scheda per il candidato sindaco/presidente, senza ritirare l'altra scheda o lasciandola bianca: questo non lo trovo affatto incoerente, mentre trovo per lo meno contraddittorio voler votare, sulla stessa scheda, per un candidato sindaco/presidente e per una lista che non lo sostiene, con tutti gli effetti anti-sistemici che questa scelta può avere.
Posto che ogni scelta sull'ammissibilità del "voto disgiunto" (come ogni altro possibile intervento sulle norme elettorali) è una vera political question, con effetti che non sono indifferenti per questo o per quel partito, la discussione sul punto si inserisce in quella relativa al disegno di legge che mira a modificare le norme per le elezioni nei comuni sopra i 15000 abitanti, prevedendo l'elezione al primo turno del candidato sindaco che superi il 40% dei voti. Posso conoscere la tua posizione su questo?
Intanto ricorderei che la questione del "voto disgiunto", sollevata a proposito della legge elettorale comunale, era sorta come potenziale "correttivo" a situazioni problematiche che io e altri costituzionalisti auditi dalla commissione Affari costituzionali del Senato abbiamo messo in luce. Abbassare al 50% al 40% la soglia da raggiungere per l'elezione al primo turno di un sindaco, evitando così il ballottaggio, avrebbe fatto comunque scattare il premio di maggioranza a favore della lista o coalizione a sostegno del vincitore, senza la previsione di una percentuale minima che questa compagine avrebbe dovuto raggiungere: questo avrebbe creato una situazione simile a quella che la Corte costituzionale, nella sua giurisprudenza, ha considerato costituzionalmente illegittima.
La Corte ha detto questo nelle sentenze n. 1/2014 e n. 35/2017 relative alle leggi elettorali politiche, non a quelle relative ai comuni o alle Regioni.
Diciamo che la Corte ha speso un argomento forte, parlando di lesione del principio di rappresentanza democratica nel momento in cui il premio di maggioranza viene attribuito senza la previsione di una soglia minima e può crearsi un effetto esageratamente disporporzionale e distorsivo. Io credo che quell'argomento, vista la sua forza, non sia limitato a quelle leggi elettorali, ma sia un argomento "di sistema", tranquillamente riproducibile anche a livello comunale. Ricordo che, di fronte al problema sollevato, il presidente Balboni era parso piuttosto preoccupato. Il centrodestra, a quel punto, ha cercato di ridurre le situazioni in cui, eletto un sindaco al primo turno con poco più del 40%, potrebbe scattare il premio di maggioranza al primo turno a favore di una lista/coalizione rimasta molto al di sotto di quella percentuale e lo ha fatto escludendo la possibilità del "voto disgiunto" (e trasmettendo automaticamente alla lista o alle liste collegate il voto espresso a favore del solo aspirante sindaco). 
Questa scelta contraria al "voto disgiunto", dunque, sembra essere stata fatta soprattutto per eliminare il rischio di effetti che potrebbero essere ritenuti incostituzionali. Ciò detto, io resto contrario all'elezione del sindaco con il 40% al primo turno nei comuni "superiori": ridurre il quorum in quel modo, peraltro in un'epoca di crescente astensionismo, rende realmente possibile l'elezione di un sindaco espressione della "maggiore minoranza". Le percentuali sempre più basse di elettorato che partecipano alle elezioni amministrative sono oggettivamente preoccupanti: permettere al 40% della quota sempre minore di elettori che si reca ai seggi di scegliere il sindaco, in qualche modo, finisce per legittimare l'astensionismo e sicuramente non lo contrasta.
Prima ricordavi come il ruolo e il valore dei partiti politici sia, secondo te, incrinato o eroso dal "voto disgiunto". Pensi che basti non consentire più questo per restituire ai partiti il loro ruolo e, magari, per convincerli a presentare liste a loro direttamente riconducibili?
Ovviamente no: il problema della crisi dei partiti politici è certamente molto più serio e ha cause più profonde. Tuttavia è evidente un fatto: i partiti sono scomparsi a livello locale, nel senso che per effettiva mancata presenza sul territorio o per convenienza, magari nel tentativo di avere un'immagine migliore con più appeal, molte forze politiche finiscono puntualmente per presentare candidature all'interno di liste civiche. Questa sostanziale scomparsa, per me che penso alla costruzione della rappresentanza politica a partire dal basso attraverso soggetti politici radicati, è un problema, che si collega ad altre riflessioni che non abbiamo il tempo di affrontare qui, come quella legata alle risorse economiche e al finanziamento che consenta di svolgere attività politica a livello locale. Credo che una delle tante ragioni alla base dell'astensionismo crescente sia proprio la scomparsa territoriale dei partiti e il fatto che si pensi di surrogare questa presenza e il confronto con l'elettorato attraverso l'attività sui social network o altre forme di comunicazione dall'alto verso il basso. Chi ha la mia età ricorda che i partiti avevano le sezioni sul territorio e chi aveva un problema andava presso la sezione del proprio partito di riferimento e lo faceva presente al segretario: oggi tutto questo si è perso, a volte non si prende più nemmeno un consigliere comunale come riferimento, ma direttamente il sindaco; questo, tra l'altro, ha a che fare anche con il ruolo ormai marginale e a volte servente che hanno i consigli comunali o perfino regionali, che patiscono oltre il dovuto il protagonismo, in parte giustificato dall'elezione diretta, della carica monocratica al vertice della giunta comunale o regionale. Quando si era fatta la riforma prima degli enti locali, poi delle Regioni, si era evitato di scegliere una formula "presidenziale", preferendo quella "neoparlamentare" che avrebbe dovuto mantenere una dialettica virtuosa tra la carica monocratica e le forze politiche a sostegno, ma il progressivo indebolimento dei partiti ha fatto sì che il vero dominus della politica su scala locale sia il sindaco o il presidente della Regione.
Da ultimo, pensi che escludere il "voto disgiunto" possa avere effetti sull'offerta elettorale, in particolare sul piano dei simboli presentati e su quello della raccolta delle firme?
Penso che qualche effetto possa esserci, certo senza poter immaginare poteri taumaturgici di quest'innovazione. Si limiterebbe in qualche modo il fenomeno dell'individualismo elettorale, per cui si fa campagna più per sé che per le forze politiche, così come si irrobustirebbero partiti e coalizioni e l'effetto si vedrebbe anche sulla raccolta firme, perché le candidature verrebbero sostenute perché inserite necessariamente nell'ambito di un programma politico a supporto del sindaco.
Stai immaginando una presentazione di meno "liste del sindaco"?
Beh, questo non credo che sarebbe automatico: lì c'è un problema di frammentazione politica davvero rilevante. Non mi sento ovviamente di parlare di "eccesso di democrazia", ma se un candidato sindaco o presidente di Regione è sostenuto da 12 o 15 liste, alcune delle quali espressamente ispirate al candidato stesso, è chiaro che l'effetto personalistico che si cerca almeno in parte di contrastare abolendo il "voto disgiunto" si ripresenta sotto altre forme. Se i partiti devono rappresentare una sintesi politica, una scheda elettorale "lenzuolo" con 10-15 liste a sostegno dei principali candidati in sostanza finisce per legittimare il ruolo di candidati consiglieri "portatori d'acqua", senza possibilità di essere eletti, ma che potrebbero un giorno chiedere di essere compensati per il sostegno fornito in campagna elettorale. In questo senso potrebbe essere opportuno intervenire sulla legge elettorale, prevedendo che le liste rimaste al di sotto di una certa percentuale non concorrono ai fini del calcolo della quota per l'attribuzione della vittoria al candidato collegato: in questo modo, tra l'altro, si eviterebbe la proliferazione di simboli "rastrellavoti", che tu ben conosci avendoli visti in azione in varie parti d'Italia. Questo non è serio: non sono fenomeni di partecipazione democratica, somigliano piuttosto a un clientelismo di bassa lega.
Però, in questo modo, senza "voto disgiunto" e senza simboli strani, noi #drogatidipolitica che studiamo questi fenomeni ci divertiamo molto meno...
Eh, vabbè, d'accordo [ride], touché!